La crescita che manca

Fragile tregua a Ise-Shima

Per quanto possa apparire incredibile il G7 di Ise-Shima si confronta con lo stesso problema che i paesi allora più industrializzati ebbero nel 1975, ovvero quello di rilanciare lo sviluppo e la crescita del pianeta. Nel 1971, in piena guerra del Vietnam, l’America aveva tolto ogni vincolo al dollaro lasciando che il suo valore venisse determinato dalle leggi di mercato. Si concluse così il boom del dopoguerra in Europa e Giappone. Due anni dopo, i paesi arabi scatenarono e persero la guerra contro Israele, con il risultato di un innalzamento del prezzo del greggio su scala mondiali con conseguenze drammatiche. I grandi si chiamarono a consulto una prima volta per raddrizzare quella che appariva come la peggiore crisi della storia del mondo dal primo dopoguerra. Quarant’anni dopo, tra crisi finanziaria e conflitti in medio oriente, siamo daccapo, anzi peggio, considerando che la potenza economica nel mondo si è persino ridistribuita e i Grandi degli anni ’70, arrancano rispetto a nuovi colossi, come la Cina. L’agenda del vertice è stata fissata dal padrone di casa Shinzu Abe con un articolo che abbiamo potuto leggere sul “Wall street Journal”: bisogna rivitalizzare l’economia globale, “puntando a mettere insieme le politiche monetarie con l’accelerazione delle riforme strutturali e la flessibilità delle politiche fiscali”. In sostanza Tokio chiede maggiori investimenti pubblici, gli unici che nelle circostanze attuali possono rimettere in moto la crescita. Con Abe sono d’accordo tutti gli altri paesi, esclusi Germania e Gran Bretagna. I tedeschi sono stretti dalla morsa immigrazione terrorismo, e hanno appena sostenuto il nuovo piano di lacrime e sangue per la Grecia, la Gran Bretagna vive una condizione di grazia, per la quale la sua economia non ha bisogno di particolari stimoli. Senza che necessariamente si riesca a trovare un’intesa fra i Grandi, il rischio è che si incrini ulteriormente la coesione fra paesi europei. Ad Ise- Shima, la frattura, fra Francia ed Italia da una parte e Germania e Inghilterra dall’altra, pare insanabile. E’ vero che Obama ha messo da parte gli attriti con Angela Merkel ed anzi ne ha fatto il suo principale interlocutore in Europa. Questo comporta ancora l’apertura a riforme strutturali e lotta alla corruzione come ipotesi per ricavare risorse senza aumentare la spesa pubblica. con la particolarità, che la presidenza di Obama oramai è a fine ciclo. Nel caso ci fosse domani un presidente americano poco propenso alle sfumature e ai punti di equilibrio, ecco che le divisioni appena contenute in Giappone rischieranno di deplodere con tutta la loro violenza sul nostro Continente. Mai si arrivasse a questo punto, per l’Italia sarà comunque una doccia gelata.

Roma, 26 maggio 2016